Parte I
1. Strutturazioni
Se si volesse sviluppare antinomicamente un costrutto linguistico, uno dei comportamenti da seguire potrebbe prendere forma in questa maniera: nella prima delle due possibilità linguistiche, un solo pensiero genererebbe ed allo stesso modo condizionerebbe la totalità, ma, così, si scadrebbe nel ricondurre tutto ad un singolo principio primo – “le filosofie fino ad ora non hanno fatto altro che ridurre tutto a uno”, diceva saggiamente un giovane Nietzsche -, il che non è né concepibile né accettabile per rispetto della pluralità e della diversità resa viva da ciascun essere umano; nella seconda, ogni singolo individuo, inizialmente, procrea possibilità – è “creatore di valori” -, vivendo il pensiero nella sua individualità, ma, questo, è possibile solo nel caso in cui la persona sia continuamente protesa alla ricerca di una possibile indipendenza.
2. Argomentazioni
Criterio logico: se si vuole parlare di una categoria, al cui interno viene compreso un determinato ente, non si possono muovere argomentazioni a favore dell’ente per giustificare un posizionamento riguardo la categoria; non risultando nessuna forza superiore che costringerà l’ente a possedere tutte le caratteristiche proprie della categoria. Allo stesso modo è invalido il contrario; ovvero: se per parlare dell’ente si discuterà sulla categoria: in quanto, necessariamente, quest’ultima non possederà le peculiarità di quello.
3. Negazionismo
Non esiste alcun “sentiment commun”, e non sussiste nessun “essere a priori collettivo” nell’individuo che aleggia prima del poter pensare e vivere; rimane tutto uno scaturire dalla originalità e dalla particolarità, prodotte dall’esperimento continuo quale è la nostra vita empirica. L’individualità crea e forgia, per poi condizionare; ottenendo, a questo modo, la libertà del non essere soverchiati.
4. La logica come sistema umano, in quanto prodotto nel vissuto
Il sistema matematico si regge su assiomi da accettare, infine, a priori; poiché senza di questi esso non protrarrebbe la validità della sue esistenza –; quei postulati rimangono costrutti umani fungenti da fangose fondamenta per un discreto edificio. E quella pretesa realtà – qualora vi fosse un qualche cosa di così radicato nell’intelletto e nell’immaginazione umani per mezzo della tradizione, del costume e dell’abitudine da far pensare di poter estendere il termine “comune” al reale; e come se fosse possibile una tacita statuizione su cui vi si riuscisse a trovarsi universalmente d’accordo nell’utilizzare una parola implicante una così vasta ed eterogenea distesa di particolari – dovrebbe, invece, permettere una libera interpretazione e rigettare una verità assoluta — le rappresentazioni metafisiche si basano nel contempo sulle modalità di informazione e sulla genesi della capacità di critica dell’individuo.
5. Senza apriorità
Le forme kantiane “a priori” non risultano, in ultima analisi, avere un significato propriamente vitale per il soggetto, prima dell’esperienza e della tradizione. Anch’esse, infine, sono costrette a rifarsi alla empeiria: si può osservare come un bambino resti privo delle concezioni a priori fintanto che ne venga a conoscenza nelle più svariate forme e nei più diversi modi. Pertanto, l’acquisizione si verificherà solo dopo un tipico lasso di tempo passato all’interno della società, della comunità trasmettente.
Non vi vergognate di sembrare tediosi a ribadire l’inconsistenza di qualsivoglia forma aprioristica che pretenda di trarre la sua validità dalla trascendenza.
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